sabato 4 febbraio 2012

Against papponi

GLI AMICI DI GRISMONCHEI CI RACCONTANO DEI VIZI DEI RICHHI COLLEZIONISTI D'AUTOMOBILI; INTANTO DALLA RUSSIA MASHA GESSEN DESCRIVE DA UN PUNTO DI VISTA "AUTOMOBILISTICO" LA PROTESTA ANTI-PUTIN.


La creatività italiana non ha limiti. Una nota carrozzeria milanese è riuscita a far crescere una Cinquecento fino a oltre 5 metri per trasformarla in una limousine e soddisfare così un capriccioso collezionista newyorkese.
La “crescita” è stata resa possibile modificando il pianale con una base più lunga in carbonio e metallo capace di ospitare batterie abbastanza potenti da distribuire energia elettrica per la miriade di comfort presenti nella vettura.
Il tetto è stato rialzato, gli interni completamente personalizzati con otto posti a salotto e bar, ma non solo, questa invenzione milanese è completamente personalizzabile passando dal rivestimento in legno per barche sino al retro senza portiere. Insomma tutti gusti – tutti frutti per la modica cifra di 120.000 euro…
Andrea Zappa per Grismonchei srl


A carwash is about the last place I would expect to find myself on a very, very cold Sunday morning, but there I was last weekend.
After the crew was done with my car, I took out a pair of scissors and a roll of white ribbon and placed bows on the mirrors and door handles. Then I swung by my apartment building, where my partner was finishing decorating her own freshly washed car, and we did something else I never would have expected to do: we voluntarily placed ourselves in heavy Moscow traffic for more than an hour and a half.

The occasion was a protest against the Russian government staged on the Garden Ring, the 16-kilometer-long road that circles central Moscow.
As we turned onto the Garden Ring, we placed ourselves behind a compact Citroën while a Lexus SUV got behind us. Both were adorned with white ribbons, which have become the symbol of Russia’s protest movement. As more cars joined in the drive, our speed decreased, until we had white-ribboned cars in lanes on either side of us and the traffic had slowed to a standstill.
My 10-year-old daughter sat in the back seat cutting segments of white ribbon, which we handed out to drivers of cars that had apparently joined the protest on a whim. The spirit of the protest was pure joy: The sun was shining; big Mercedes Geländewagens and 6 Series BMWs (and even a single red Bentley) mingled with the less flashy Kias and Ladas; onlookers stood in clumps on the sidewalk all along the route, waving white ribbons and scarves at the drivers.
Some of the cars drew appreciative honks for clever decoration. My favorite was a compact BMW emblazoned with the slogan ‘‘Snow White Against the Gnomes’’ — a reference to Vladimir Putin’s and Dmitri Medvedev’s short stature.
Around the time that the circle of protest cars closed around the Garden Ring, the police told journalists that there were 20 cars in the protest. Later in the afternoon, they revised their estimate upward to 300.
‘‘What is this, the Goebbels approach?’’ someone exclaimed at the after-protest party I attended. ‘‘‘If you tell a big enough lie, people will believe it’?’’
Actually, no. The bizarre aspect of much of Russian state propaganda is that its intended audience is private, not public. It is not the thousands of people who took part in the protest, or the thousands more who saw us, or the hundreds of thousands who have watched videos online who are being told there were only 300 cars in the street. It is the boss.
The Moscow police are telling this lie to their chief who will feed it to the mayor who will feed it to President Medvedev who will feed it to Prime Minister Putin: this is the true order of subordination in the country.
All of these men appointed one another, in reverse order. None of them was actually elected — though, de jure, the president was — so none of them is accountable to anyone but the single person who once picked him for the job.
This is how Russian elections work as well. My sources tell me that the country’s 83 appointed governors have already been instructed on the expected results of the March 4 presidential election. In all likelihood, a majority of them will report exactly the results they have been told, down to the percentage point, regardless of how people actually vote.
This, in all certainty, will lead to ever-more numerous protests about which officials high and low will continue to lie to themselves and to their superiorsuntil they can lie no more, because they and their jobs will have been swept away by the rage they are trying to lie out of existence.
Masha Gessen per International Herald Tribune

martedì 31 gennaio 2012

Solo i veri profeti distruggono i falsi miti


LA DERIVA FINANZIARIA, IL GIGANTE INVISIBILE DEL DEBITO PUBBLICO, LA BIPOLARIZZAZIONE: UNA CADUTA TENDENZIALE DEL SAGGIO DI CULTURA.
Gira su internet la seguente frase, datata nel 55 A.C., attribuita a Marco Tullio Cicerone: «Il bilancio nazionale deve essere portato in pareggio. Il debito pubblico deve essere ridotto; l'arroganza delle autorità deve essere moderata e controllata. (...) Gli uomini devono imparare di nuovo a lavorare, invece che vivere di pubblica assistenza».
La frase, che sembra dettata dalla signora Angela Merkel e dai Governi europei, in verità non è affatto di Cicerone. La citazione, tratta da una biografia romanzata, scritta nel 1965 da Taylor Caldwell, A Pillar of Iron, è un falso, come aveva già dimostrato il professor Collins fin dal 1971; ciò nonostante, essa è stata abbondantemente abusata persino dall'Ocse e dal Fondo monetario internazionale, alla ricerca di autorevoli precedenti a giustificazione della loro politica monetaria.
Le politiche europee che si sono ispirate ai principi del falso Cicerone hanno poi provocato una serie di proteste che caratterizzano un po' ovunque la vita sociale dei Paesi globalizzati. Così è anche per le ultime "liberalizzazioni" del Governo italiano. Eppure queste dovrebbero favorire la concorrenza e dunque alla fine giovare all'interesse degli autotrasportatori, dei tassisti, dei farmacisti, dei pescatori, degli agricoltori e degli avvocati, dirette a eliminare strutture arcaiche alle quali nessuno aveva mai posto mano.

Queste strutture avevano trovato un loro scadente equilibrio, certo non giusto né trasparente, ma appena è stato rotto, ha provocato la rivolta.
S'è è fatto così l'esempio dell'autotrasporto, che vede a capo del circuito economico nel quale è inserito società di spedizione multinazionali, per lo più straniere, che controllano reti commerciali e software e collegano la produzione e la destinazione finale delle merci, mentre gli autotrasportatori non sono che l'ultimo sfortunato anello della catena. E già liberalizzato quanto basta. Diverso discorso si potrebbe affrontare per le altre liberalizzazioni, ma lo schema più o meno si ripete.
Le rivolte che ne sono state la conseguenza si accomunano alle molte altre in giro per un mondo nel quale la disoccupazione aumenta e le prospettive di lavoro sembrano azzerarsi, sicché esse paiono una scomposta e flebile reviviscenza della tradizionale "lotta di classe".

Ma così non è. La lotta, a tutti i livelli, fra ricchi e poveri, fra capitalisti e proletari, non è più quella. E soprattutto la grande ricchezza non è più il surplus prodotto dallo sfruttamento di lavoro nella produzione di merci, anche se esso tuttora esiste. Né diverso sarebbe il discorso sui beni naturali come il petrolio, il cui prezzo altalenante fra gli interessi dei paesi produttori e le corporations occidentali sarebbe ridicolo vederlo riferito ai costi di produzione. Una prima conclusione che si può trarre è che il grande cambiamento che ha reso possibile la globalizzazione e questi fenomeni che ne fanno parte integrante è l'importanza che ha assunto quello che già Karl Marx, pur senza averne previsto la straordinaria capacità di trasformazione del capitalismo, aveva chiamato «l'interesse generale», inteso come la conoscenza collettiva in tutte le sue forme, dalla scienza alle applicazioni pratiche delle tecnologie.

In verità, già ben prima, uno dei più grandi innovatori nella storia del pensiero, il nostro Giambattista Vico, aveva scoperto l'esistenza di un senso comune in tutto il genere umano collegato alla sapienza insita nell'ingenium. Ed è così che oggi la vera fonte di ricchezza sta nella privatizzazione di una parte rilevante dell'"interesse generale" o dell'"ingenium" vichiano. È così infatti che l'aumento della produttività e dell'efficienza attraverso il determinante ruolo che nella trasformazione dell'economia mondiale ha avuto la conoscenza collettiva costituisce il grande successo del capitalismo globale. Ma questo successo ha altresì prodotto una disoccupazione di carattere strutturale, che ha reso dovunque una moltitudine di lavoratori inutili e superflui.

Il risultato di questo successo è che ai capitalisti di antica tradizione si sono sostituiti i manager i quali, in base a meriti e competenze sempre più incerte e discutibili, si appropriano del surplus della produzione, vengono pagati con lauti bonus, stock options e liquidazioni forsennate; al contrario degli antichi capitalisti non rischiano, ma addirittura si arricchiscono anche quando le imprese sono in perdita.

È così che la classe media, la borghesia, che era il collante d'equilibrio delle società del capitalismo industriale, va via via sparendo e il suo lavoro, come hanno dimostrato anche da noi le recenti indagini dell'Istat, ha un reddito reale che viene eroso dall'inflazione.

Ma le rivolte e lo sconfortante pessimismo non servono. Ciò che pare essenziale per la borghesia proletarizzata è il recupero della conoscenza collettiva da parte di tutti e soprattutto da parte dei giovani. Pare che questa nuova dimensione, al di fuori dei falsi Ciceroni, sia stata finalmente capita anche dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama con l'imponente programma di aiuti per accedere all'istruzione dei giovani e all'educazione degli adulti. Sarà forse così anche possibile ridurre, e quando necessario, eliminare, la deriva finanziaria che si è inserita nel gioco perverso della privatizzazione della conoscenza collettiva. Ancora una volta la vera e non la falsa cultura costituiscono la via d'uscita dalla crisi.
Guido Rossi, MIcromega

giovedì 26 gennaio 2012

Interessi e capitalismo

 
UN PUNTO DI VISTA DIVERSO SUL DIBATTITO ECONOMICO E SUGLI INTERESSI POLITICI NON SOLO DEI PARTITI
I spent Thursday night at the Cambridge Union, dolled up in dickie bow and tight-fitting (I blame Christmas) dinner jacket, debating whether the Tories have been unfairly demonised. The charming hereditary Tory MP Ben Gummer advanced a fascinating argument to explain why the Tories have been significantly behind the curve on social issues over the past two decades. He reckoned it was because the party was just too good at listening to the British people, who, according to him, are intrinsically suspicious of change.

He's wrong, though. On so many issues the Tories have proved themselves far more reluctant to reform and renew than the British people, and my suspicion is that politicians of every hue have tended to mistake reading the Daily Mail for listening to the British people.
Populism is a fearsome mistress. All too often the populist ends up chasing his own tail in ever decreasing circles, which is why the insouciance of a leader who seems to care not a fig for what the public thinks can seem fleetingly attractive.
Which brings me to the battle over modern capitalism. Few can doubt that it's gone awry. Businesses that are still making a profit, like Peacocks, which employs a large number of my constituents, have the plug pulled on them by RBS, a bank that was dragged back from the brink by a massive injection of taxpayers' cash.
Short-term financial return rules, and in too many cases a narrow clique of directors appoints like-minded friends and relations as supposedly "independent directors". Not surprisingly, they then vote one another ever increasing remuneration packages.
That is why Ed Miliband was right: a campaign to reform the way the market works in the UK may be instantly unpopular with the Mail and the Telegraph, but it is not only the right thing to do, but will eventually bring electoral dividends. Incidentally, the Cambridge students voted overwhelmingly that the Tories had not been unfairly demonised.
Here's why I accepted Murdoch's offer
I've had a barrage of emails this week about the settlement of my privacy case against the News of the World. Let me be clear. There is no confidentiality clause and all the information we garnered will go to the police investigation and the Leveson inquiry. But the rules are that if I had refused an offer from News International that the court later thought was reasonable, I could have been liable for all of News International's legal costs – which could easily have run to hundreds of thousands of pounds, even as much as £1m.
Thursday was a milestone, though. If the admissions that NI made there end up in the criminal courts, several more people could be going to prison. So they have let us see the hem of the garment of the truth. These civil cases forced the Met and the Government's hands. It is now for the police (against whom I still have another case) and Leveson to prove their mettle and show us the rest. We are only in Act IV, Scene 2 and I expect to be there when the curtain comes down at the end of Act V.
Endless talk that makes a mockery of legislation
I cannot tell you how frustrating and generally infuriating a Commons Friday, supposedly devoted to Private Members' Bills, is. The fury begins to gather in my loins early in the week, when I start getting messages demanding my attendance in the Chamber for a vote on some Bill or other.
This week it was either to vote against Nadine Dorries's ludicrous proposals on abstinence sex education, or to support Zac Goldsmith's Bill on the recall of MPs, or to support/oppose Rebecca Harris's Daylight Saving Bill.
I tried to point out that since there were 64 Bills slated to be debated in the five-hour session and Dorries was No 8 and Goldsmith No 11, there was little chance of reaching them, but this simply prompted angry accusations of laziness. In the end Dorries's effort wasn't even on the order paper; the only Bill that got through (without debate) was the Live Music Bill, and the only Bill debated was the daylight one, which was dragged out interminably by two or three parliamentary obsessives and so fell.
I left when we started to hear about the death of George III – and even then missed my surgery in Tonypandy. It's sad, really, because every budding MP gets asked what single law they would introduce if they were elected; every member still retains the right to publish as many Private Members' Bills as they want, and many of the issues covered are of real interest to the public.
But the Friday rules – that you can talk as long as you want and if someone is still talking at 2.30 the Bill lapses – desperately need reform. Otherwise I, or one of the other 200 or so frustrated MPs who were willing the daylight saving Bill through, might spontaneously combust one of these Fridays.
When this MP spoke, the House fell silent
On Monday the aggressively independent-minded Labour MP Paul Flynn launched his new book, How to Be an MP, in the Speaker's House. He told a nice tale of a former Welsh MP, Gareth Wardell, who sat for Gower between 1982 and 1997. In those days parliament was not yet on television and there was no timetabling of Bills. Wardell was delighted to secure the end-of-day debate, but less happy that it didn't start until 3am, by which time the only other members in the chamber were the deputy speaker and the minister who had to reply.
Rather pleased with his speech, Wardell played a recording to his mother back in Wales. Apparently she was heard to boast for years after that "when Mrs Thatcher and Mr Kinnock speak in the Commons, everybody is chatting away, but when my son speaks, you can hear a pin drop".

Chris Bryant, The Independent