mercoledì 28 dicembre 2011

Il capodanno

GRAMSCI E IL CAPODANNO
Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione.

Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito.
Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere.
Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni.
Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.
E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 o il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita.

Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno.

Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale.
Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse.

Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive,
da spartire con tutti gli
estranei che non mi interessano.

Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.


(Antonio Gramsci, Gennaio 1916, l’Avanti!)

venerdì 23 dicembre 2011

Chi se la compra questa Panda?

GLI AMICI DI GRISMONCHEI CI RICORDANO L'USCITA DELLA NUOVA PANDA PRODOTTA NELLO STABILIMENTO DI POMIGLIANO. UN'OCCASIONE PER RIFLETTERE SU REDDITO MINIMO E LAVORO IN ITALIA
La piccola di casa Fiat diventerà la protagonista di un cartone animato dalla durata di circa 45 minuti intititolato Panda.Prova a prenderla..
Il filmato 3D, realizzato da Leo Burnet Italia, sarà trasmesso sul sito della Fiat e la homepage si presenterà come un percorso ideale che la Panda percorrerà dallo stabilimento di Pomigliano verso l'Europa. Durante il viaggio saranno evidenziate le caratteristiche principali della nuova auto e l'utente potrà interagire sia personalizzando l'auto con svariati optional sia inserendo un proprio avatar.
Inoltre, sarà disponibile anche un gioco on-line per diventare un pilota ufficiale Panda -in caso di vittoria finale- l'utente riceverà un premio dall'azienda torinese.
Andrea Zappa

Da qualche tempo nel dibattito politico italiano ha fatto il suo ingresso il reddito minimo garantito. Ma la confusione regna sovrana, anche tra i giornalisti e gli ‘addetti ai lavori’.
Fiat lux: anche in Italia si è scoperto il reddito minimo garantito. Però, non c'è un articolo, dei tanti che mi è capitato di leggere sui giornali, che riporti fedelmente la realtà. Certo, bisogna colmare un vuoto d'informazione decennale, e non è semplice. Un vuoto che sarebbe un errore ritenere marginale. Ma per rendersene conto, più che frequentare la sezione di partito o prepararsi un curriculum da intellettuale impegnato laureato, bisognerebbe aver lavorato come lavapiatti a Bristol, a Berlino, aver mandato i figli negli asili della Ruhr o di Lione, aver conosciuto qualche operaio della Volkswagen, o qualche madre disoccupata tedesca, sola con figli, che mensilmente, sommando i vari sussidi, può contare su un reddito di quasi 2000 euro più una casa adeguata. Diciamo subito una cosa: il reddito minimo garantito non è, come tutti scrivono, "a tempo" in Europa. Si confonde, forse, l'indennità di disoccupazione (generalmente è un'assicurazione su base contributiva) e il reddito minimo che è finanziato dalla fiscalità generale e al quale hanno accesso tutti, sia quelli che hanno perso un lavoro, sia quelli che non lo hanno ancora trovato. Quest'ultimo sussidio non ha un limite di tempo.Questa confusione però è strana perché, se si tratta della durata, nei giornali si prende ad esempio di reddito minimo europeo l'indennità di disoccupazione (che è limitata), mentre per la consistenza economica (più povera), si prende ad esempio il reddito minimo (che però non ha un limite).
Forse la realtà è così incredibile in Italia da produrre una sorta di inganno cognitivo.

Comunque, la ministra Fornero sembra avere le idee chiare sul tema, visto che nota come proprio i paesi che non hanno una forma di reddito minimo garantito sono quelli maggiormente in crisi. Non è infatti assolutamente un caso che sia così. Purtroppo mi pare però che le resistenze politiche che la Fornero incontra sull'introduzione del reddito minimo garantito siano molte. Del resto, non si spiegherebbe il silenzio totale del passato. Per diverse ragioni, destra, sinistra e sindacati non amano il reddito minimo garantito. Ci sono dunque tutte le premesse perché alla fine si arrivi a una legge inutile e mediocre. Tanto più che neanche gli studiosi cercano di diradare la confusione. Al contrario, in modo ecumenico, la accrescono.

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, nel loro intervento sul Corriere, Dieci proposte (a costo zero) ecc. proponevano di “sostituire la cassa integrazione con sussidi di disoccupazione temporanei, ispirandosi alla flex security dei Paesi nordici”. Però la dicitura “paesi nordici” è troppo vaga. Il lettore potrebbe essere indotto a credere che si proponga il massimo della protezione sociale nord-europea, addirittura scandinava, mentre in realtà non è così. Nell’“Europa del Nord”, tolta (in parte) la Danimarca, i sussidi di disoccupazione non sono temporanei. Del resto, a questa verità si arriverebbe facilmente riflettendo su quello che ripetono da anni i leader politici europei. A sentire i Cameron, ma anche gli Schröder, parrebbe che il problema principale delle economie dei “paesi nordici” sia quello di far lavorare le persone, strappandole ai loro comodi sussidi di disoccupazione.

Se i sussidi fossero temporanei, non si capirebbe una parola (e infatti non si capisce una parola) della riforma di Cameron in Gran Bretagna (e delle relative proteste di piazza). Questa riforma non si propone certo di limitare la durata, ma di rendere la qualifica professionale un criterio meno stretto per rifiutare un lavoro proposto degli uffici di collocamento. Se, invece, per “paesi nordici” s’intende la sola, e, peraltro piccola, Danimarca, allora bisognerebbe anche aggiungere che in Danimarca è davvero difficile non trovare un lavoro. In un paese nel quale persino gli scrittori, o quasi tali, sono sovvenzionati, dove i traduttori guadagnano dieci volte quanto guadagna un traduttore italiano, lavorare ha un significato diverso da quello usuale. Insomma, un altro mondo.

Luciano Gallino nel suo Finanzcapitalismo scrive che i "lavoratori poveri" (secondo la definizione dell'Ocse) sono molti meno in Francia rispetto ad altri paesi europei solo
"grazie al reddito minimo (ridenominato dal 2009 Revenu de solidarité active) che viene erogato a soggetti inoccupati, disoccupati privi di altre fonti di reddito e occupati a basso salario”.

Solo in Francia esiste dunque il reddito minimo? È solo per questa peculiarità francese che i lavoratori poveri sarebbero largamente meno numerosi che in Gran Bretagna o in Germania? In realtà, la Francia è stata l’ultimo paese europeo ad adottare una forma di sostegno del reddito “erogato a soggetti inoccupati, disoccupati privi di altre fonti di reddito e occupati a passo salario”. Il Revenu de solidarité active (RSA) sostituisce da pochissimi anni il ben noto, almeno nel senso che qualche milione di francesi sa che cosa sia, RMI, che è stato introdotto, dopo un grande dibattito, 20 anni fa, e che ha adeguato la Francia al resto d’Europa. Tedeschi, olandesi, britannici ecc. avevano già i sussidi di disoccupazione e in molti casi, come in Germania, anche più generosi di quelli francesi. In Gran Bretagna esistono da decenni due specifici sussidi, uno rivolto ai disoccupati, l'altro all'integrazione del reddito.

Comunque, visto il disorientamento che appare sui giornali nel dar conto del reddito minimo in Europa, è utile chiarire alcuni aspetti chiave.

È sviante quantificare il reddito minimo europeo. Esso in realtà si compone di diverse voci, che possono includere il numero dei figli, le spese di gestione di una casa, le esenzioni sulle spese per i trasporti, il telefono, il riscaldamento, le scuole, la sanità, il cinema, il teatro ecc. Ho letto su un grande giornale nazionale, ad esempio, che in Germania un disoccupato percepirebbe meno di 400 euro di reddito minimo. È inesatto. Forse l'errore nasce dall'aver considerato solo una voce. Prendo il caso fatto da un programma televisivo della prima rete nazionale tedesca, che ha mostrato come una commessa con due figli percepirebbe, sommando tutti i sussidi a cui avrebbe diritto se venisse licenziata, solo 100 euro in meno rispetto al suo reddito da lavoro, ovvero qualcosa come (cito con qualche approssimazione) 1700 euro.

Ci si potrebbe chiede se conviene lavorare. Ma questo è appunto l'argomento che cavalca la destra in Europa: i sussidi, si sostiene, creano la disoccupazione, chi lavora dalla mattina alla sera guadagna poco di più di quanto percepirebbe come disoccupato. Argomento che ha qualche presa sull'elettorato, specialmente se combinato con l'argomento che a non lavorare sono gli immigrati. Poiché però il rischio di perdere il lavoro esiste per tutti, questo tipo di argomenti assume il senso di limitare l'abuso del sussidio da parte dei fannulloni intenzionali.E qui c'è il secondo aspetto da tenere ben presente quando si parla di reddito minimo garantito in Europa. La condizione per riceverlo è dimostrare di cercare un lavoro. Ma quale tipo di lavoro? Non si è chiesto fino ad oggi di svolgere un lavoro per il quale non si sia qualificati o che sia troppo lontano da casa (si noti che in Gran Bretagna gli uffici di collocamento, che peraltro funzionano, offrivano l'uso di un'automobile al disoccupato che avesse accettato un lavoro a una distanza di 100 km dalla sua abitazione). Per ridurre la "trappola assistenziale" (vera o presunta che sia) si cerca oggi di spingere il disoccupato all'accettazione di un lavoro vicino alla propria qualifica, ma non del tutto coincidente con essa. È importante conoscere questi aspetti, perché è su questi temi che si discute di riforme del welfare in Europa. Da più di un decennio.

Micromega, Giovanni Perazzoli

giovedì 22 dicembre 2011

Giovani senza speranza

LA POLITICA IMMOBILE SOFFOCA OGNI SPERANZA DEI GIOVANI EUROPEI

Près de 100 millions d'Européens sont âgés de 15 à 29 ans, soit 20 % de la population totale de l'Union Européenne (UE).

Les jeunes européens sont en fragilité et subissent de plein fouet les conséquences de la crise actuelle. Eurostat précise que, l'Union européenne compte environ 5 millions de jeunes chômeurs (15-24 ans) soit environ 21 % de la population active. Ce taux de chômage est très élevé avec toutefois des disparités comme aux Pays-Bas (7,6 %) ou Espagne (45 %). En France, le chômage des jeunes représente 25 % et 40% dans les quartiers populaires.
L'UE a considéré les jeunes dans ses politiques tardivement. Les premières références furent introduites par le traité de Maastricht pour "favoriser le développement des échanges de jeunes et d'animateurs socio-éducatifs". Par des actions ciblées, l'UE fait la promotion de la conscience européenne et citoyenne. Les programmes d'échanges universitaires et scolaires sont l'élément essentiel de cette politique. Mais, les politiques européennes en direction des jeunes restent principalement du ressort des Etats membres.
QUELLES PERSPECTIVES PROPOSER AUX JEUNES ?
Comme nous le voyons encore aujourd'hui, la construction du projet européen a été le plus souvent déconnectée des populations. En France, peu d'entre nous font le lien entre ce que nous vivons en matière d'emploi, de santé, d'éducation et de logement et les apports d'une véritable politique européenne pour résoudre les difficultés de ce quotidien. Le citoyen européen est considéré comme un consommateur, un producteur ou une personne assistée. Alors qu'il est capable de réflexions, d'émancipation et de propositions sur le monde qu'il l'entoure. Cette mise à distance favorise l'incompréhension ou la peur. Le projet européen ne se construira pas sur des craintes et sur des doutes.
La mauvaise volonté des Etats à mettre la question européenne au cœur d'un véritable débat public, doit obliger la société civile et particulièrement les associations de jeunesse et d'éducation populaire à engager la réflexion, à informer encore plus, à organiser de vastes confrontations sur les grands enjeux comme la constitution européenne, les politiques jeunesse, ou même l'identité et la citoyenneté européenne. Ces actions doivent permettre de lutter contre les populismes qui trouvent dans les institutions européennes le bouc émissaire de toutes les difficultés que connaissent les Etats, notamment pour proposer un projet de société plus juste s'appuyant sur la perspective d'un réel progrès social.
INVESTIR LES DIFFÉRENTS PARTIS POLITIQUES
Il s'agit de construire les fondations d'un vrai redémarrage et une source d'espoir. A terme, c'est renforcer le pouvoir politique de l'Europe en s'appuyant sur le parlement. Il faut engager la construction d'une véritable politique publique européenne en direction des jeunes ne reposant plus seulement sur la mobilité et l'éducation mais permettant à un jeune de se projeter dans un véritable projet de vie. Les politiques nationales doivent être coordonnées entre les différents pays.
Dans un contexte de sous-emploi massif des jeunes européens, la crise financière peut être une occasion pour l'Union européenne de se rénover et de s'impliquer dans de nouvelles politiques. Aujourd'hui, le lieu de construction de l'Europe, c'est le Parlement. Pour se donner un avenir, la nouvelle génération d'européens doit investir les différents partis politiques et pousser à leur européanisation. L'Europe manque de substance avec un vrai pouvoir politique, économique et financier, aujourd'hui elle est trop floue pour que chacun en comprenne la nécessité et le projet.
Le Monde