giovedì 24 novembre 2011

Il partito di quale libertà?

L'EDONISMO NON E'LIBERALISMO. UN BELLISSIMO ARTICOLO DI MASSIMO MUCCHETTI DESCRIVE I LIMITI TEORICI DEL CASTELLO POLITICO BERLUSCONIANO.
Silvio Berlusconi non ha mantenuto la promessa della rivoluzione liberale. Di qui la disillusione degli elettori e il suo tramonto politico. Questa la critica che alcuni politologi - uno per tutti, Giuliano Urbani - muovono all' ex inquilino di Palazzo Chigi. Ma è una critica sensata? Oppure è un modo per non fare i conti con gli abbagli di un gruppo di persone e con i limiti della storia liberale in Italia? 

Berlusconi ha fatto fortuna in un settore regolato come la tv, e regolato a suo vantaggio. Non in attività aperte alla libera competizione. Sua Emittenza, per capirci, ha poco in comune con il tipico industriale liberale alla Gaetano Marzotto che alla Commissione economica della Costituente, da gran tessile qual era, criticava il protezionismo a favore dell' auto. Il Biscione ha avuto il supporto del Psi craxiano e di altri partiti (remunerato, dice Cirino Pomicino). E ha osteggiato la privatizzazione Rai. Un tale profilo imprenditoriale, già chiaro nel 1994, poteva e può dirsi liberale? 

Urbani è stato il cofondatore di Forza Italia, partito formato dalla concessionaria di pubblicità della Fininvest. Perfetto, se l'obiettivo fosse stato soltanto quello di sbarrare la strada alla gioiosa macchina da guerra di Occhetto. Ma se l'ambizione era più vasta, com' è possibile credere che il socio fondatore con lo zero virgola potesse condizionare il detentore del capitale? Forse Urbani, Biondi, Martino e Costa pensavano di erudire il pupo, che non aveva studiato Einaudi, e di guidarlo, rieducando l'elettorato democristiano e socialista riaccasato in Forza Italia: così, con belle prediche, loro quattro, assisi su poltrone ministeriali. La politica è un'altra cosa. 

Silvio avrà tanti torti, ma non ha tradito. L'aggettivo liberale era marketing. L'hanno capito in tanti, anche del Pli, senza aspettare che Forza Italia aderisse al gruppo popolare europeo. Gli intellettuali liberali di Forza Italia (il Pdl non ne ha più fatto uso) ricordano gli indipendenti di sinistra di 30 anni fa. Con la differenza che alcuni di quelli vennero davvero cooptati nella classe dirigente del Pci. In verità, l'Italia ha divorziato dalla cultura politica liberale nel 1945, in linea con quanto accadeva nelle democrazie occidentali allora egemonizzate dalle culture rooseveltiane, laburiste e cristiano sociali. 

C'è dunque un Novecento liberale da rivedere: il rapporto elitario con la Grande Guerra (l'inutile strage), i dubbi sul voto alle donne, il sostegno alla monarchia, il peso del Pli nella resistenza al fascismo, la subordinazione postbellica alla Confindustria. E c' è anche un oggi da ripensare: funziona o non funziona l'appoggio acritico al capitalismo finanziario globale, dato con un giustificazionismo tuttologico così simile a quello che Hayek rimproverava agli intellettuali progressisti in un aureo libello del 1949, ripubblicato dall' Istituto Bruno Leoni? Le culture politiche restano grandi se sanno rinnovarsi senza demiurghi. Che poi deludono.
Massimo Mucchetti da Micromega

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